UNA VOCE LETTERARIA “FUORI DAL CORO”: ANNA MARIA ORTESE

 

Anna Maria Ortese, considerata, oggigiorno, una delle principali scrittrici italiane del Novecento. A breve ricorre l’anniversario della nascita di questa scrittrice che noi vogliamo riscoprire in questo articolo.

Anna Maria Ortese

Anna Maria Ortese è ritenuta una delle principali scrittrici nostrane del XX secolo, malgrado ciò, quest’ultima, tuttora, resta ancora assai poco conosciuta.

Anna Maria Ortese nasce a Roma il 13 giugno 1914, proviene da un nucleo famigliare assai numeroso e povero, che si sposta in svariate città della penisola, per poi impiantarsi in via definitiva a Napoli nel 1928.

Pressocché autodidatta, Anna Maria si forma scolasticamente soltanto nelle scuole elementari e svolge un anno di studio in una scuola commerciale, in seguito, fin da ragazza, inizia a interessarsi alla letteratura, scoprendo così il suo personale talento di scrittrice.

Nel 1933, un lutto importante colpisce la famiglia della giovane scrittrice, scompare, infatti, il fratello marinaio, Manuele, al largo dell’isola di Martinica; la Ortense parlerà del dolore di questa perdita in tutte le sue opere.

 Sempre nel 1933, Anna Maria compie il suo esordio letterario con tre poesie che verranno pubblicate su «La Fiera Letteraria», fra esse, una verrà dedicata, proprio al fratello, Manuele.

Nel 1937, la scrittrice dà alla luce i racconti Angelici dolori, caratterizzati dall’intenzione di far da tramite tra il mondo materiale e quello etereo.

La Ortense, nel 1943 conclude, “Pellerossa”, il suo primo racconto, concentrato su: «(…) un tema fondamentale della [sua] vita: lo sgomento delle grandi masse umane, della civiltà senza più spazi e innocenza, dei grandi recinti dove saranno condotti gli uomini comuni».

La Ortense inizia presto la prolifica collaborazione con la rivista «Sud»,  nel periodo compreso tra il 1945 e il 1950,  dunque, si sposta tra una città e l’altra dello stivale, cominciando anche a scrivere alcuni testi creativi, i quali, tuttavia, non conosceranno mai un grande seguito, ma, in compenso, alimenteranno, ciò nonostante, numerose polemiche, come vorrà evidenziare nella sua ultima silloge, considerata anche la sua opera-testamento, Corpo Celeste, la stessa autrice: «[…]E penso di non essere un vero scrittore se, finora, non mi è riuscito di dire neppure lontanamente in quale terrore economico – e quindi impossibilità di scrivere – viva, in Italia, uno scrittore che non prenda gli Ordini. E che non abbia avuto, nascendo, nulla di suo, neppure un tetto».

Anna Maria Ortese
Anna Maria Ortese in uno scatto di Grazia Ippolito

La Ortense, malgrado ciò, potrà contare, fin da subito, sul supporto, la solidarietà e la stima di numerosi intellettuali, tra i quali, si ricordano, innanzitutto Pietro Citati, che la descrive come “la zingara sognante” e Dario Bellezza. Proprio nel periodo suddetto, la scrittrice affermerà: «Malgrado la mia vita non sia ciò che si dice una vita realizzata, devo considerarmi fortunata perché, su un totale di almeno cinquant’anni di vita adulta, riuscii qualche volta ad accostare questa riva luminosa – io che mi considero un eterno naufrago – dell’espressione o espressività che avevano per scopo questo eterno interesse: cogliere e fissare… il meraviglioso fenomeno del vivere e del sentire[…].Tale sentimento può essere meglio definito dalle parole: estasi, estatico, fuggente, insondabile.» (Corpo Celeste). E ancora: «[…] questo, donna, è il mondo: una cosa fatta di vento e voci – fatta di attese e rimpianto di apparizioni, fatta di cose che non sono il mondo» (In Sonno e In Veglia).

Emigrata da Napoli, dopo l’avvio della Seconda Guerra Mondiale, la scrittrice vi fa ritorno, incontrando in tal modo, Luigi Compagnone e Raffaele La Capria.

Nel frattempo, in quel periodo, muore anche Antonio, un altro fratello marinaio della giovane scrittrice, questa volta la tragedia avviene nei pressi delle coste albanesi e, a partire dal 1952, in seguito anche alla dipartita dei suoi genitori, Anna Maria resterà solo in compagnia della sorella Maria, con cui lei resterà per sempre.

Trasferitasi successivamente a Milano, città in cui, la Ortense, negli anni ’50 inizierà una storia amore con il caporedattore dell’Unità, Marcello Venturi, producendo i racconti Silenzio.

La scrittrice abbandonerà poi il capoluogo lombardo in via definitiva nel 1969, per poi spostarsi nella capitale e, infine, a Rapallo.

Intanto, nel 1953, Il Mare Non Bagna Napoli, porterà a Anna Maria un accenno di fama, a cui, però, farà da sfondo, ancora una volta, un eco denso di critiche, provenienti principalmente da parte del nucleo di intellettuali partenopei che fa riferimento alla rivista «Sud»; una costante della Ortense purtroppo, sarà il desiderio legittimo e, perlopiù inappagato, in vita, di venire apprezzata e riconosciuta come “scrittrice” dai propri colleghi. Nel frattempo, la scrittrice salirà alla ribalta con L’iguana del 1965, che gli valse anche il Premio Strega nel 1967.

Un’altra opera importante di Anna Maria Ortense esce nel 1975 e si intitola: Il Porto di Toledo, un romanzo visionario, in cui la scrittrice dichiara: «Potrei ricominciare da capo, se volessi, aggiungendo tante altre cose che mi sono sfuggite. Ma tutto quello ch’è passato davanti ai miei occhi, in tutti questi anni, si stende già in un solo tono uniforme, in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d’argento. Il mare! Ecco cos’è una vita quando gli anni si mettono a correre tra noi e la riva diafana sulla quale siamo apparsi la prima volta: assopito, remoto, mormorante mare».

 La Ortese, soltanto da anziana, ormai, nel 1993, riscuoterà un’accoglienza totalmente favorevole dai propri lettori con Il Cardillo Addolorato, che verrà pubblicato dall’editore Adelphi.

Il 1994 è l’anno de L’Infanta sepolta, in cui, la scrittrice racconta di avere intrattenuto con la città di Napoli una relazione estremamente conflittuale, eppure tanto fertile e fruttuosa, se quest’ultima viene osservata sotto il profilo creativo. Del capoluogo partenopeo, infatti, la scrittrice ha affermato: “Ho abitato a lungo in una città veramente eccezionale. Qui, [.] tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, […] tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva […] una impressione stranissima, come di una orchestra i cui istrumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di meravigliosa confusione” .

 Anna Maria Ortese morirà il 9 marzo nel 1998, di sé stessa ha scritto, infine, la scrittrice, un po’ profeticamente: “Sono sempre stata sola, come un gatto”.

Clelia Moscariello

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